Marco Andreani

Digital Strategist

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Riflessioni e consigli sui video corporate

Video Corporate

I video istituzionali sono tutti uguali. Che si tratti di vino, olio, lamiere, servizi, il format è sempre lo stesso e i contenuti sono stancamente ricorrenti.

Ho volutamente inserito l’esempio del vino perché di vino mi occupo ormai da tempo, sia personalmente sia professionalmente, e mi rendo tristemente conto che i contenuti video delle aziende vitivinicole tendono, tranne rari casi, a essere realizzati con lo stampino.

Immagini suggestive con droni che sorvolano aziende e terreni, primi piani del prodotto in slow motion, fasi di produzione in time-lapse (es. fasi della vendemmia) e l’immancabile musichetta emozionale che scandisce una regia fintamente emozionale, monotona, prevedibile.

Il titolare (nella migliore delle ipotesi qualcuno di reale ci mette la faccia) compare a raccontare la storia dell’azienda, delle generazioni precedenti, di come sono stati magnificamente reinterpretati gli insegnamenti degli avi, bla, bla, bla, fino ai giorni nostri con l’eccellenza raggiunta, le visioni, bla, bla, bla.

Al di là del settore vino, prendete questo format, immaginate un’azienda che fa tutt’altro e vi renderete conto che la zuppa è sempre la stessa.

Guardi questi video (se dopo pranzo sono utili ad assopirsi), poi chiudi il browser, passi ad altro e ti sei completamente dimenticato cosa faceva l’azienda, dove si trovava e soprattutto chi era.

Perché il punto è proprio questo Clicking Here. Cambia il soggetto ma il contenitore rimane lo stesso, indistinguibile dalla massa, uniforme, incolore, autoreferenziale.

Quanto hai speso per quel video? Due, tre, forse cinquemila euro? Di più? Fossero stati anche solo 500 euro, sarebbero stati 500 euro buttati.

Il video è un contenuto estremamente potente, ma se standardizzato in questo modo il suo potenziale viene completamente vanificato. Credi davvero che frotte di persone correranno a comprare i tuoi prodotti perché li hai ammorbati con quanto sei bravo e bello?

La buona notizia è che puoi uscire da questo appiattimento con 5 semplici mosse, eccole di seguito:

  • fermati a pensare a quanti video una persona vede in un solo giorno, al bombardamento di immagini in movimento che lo colpiscono quotidianamente sui Social Network
  • mettiti nei suoi panni, non in quelli dell’imprenditore attento alla concorrenza, ma del navigatore al cazzeggio che apre e chiude video come se non ci fosse un domani
  • pensa al perché una persona, anche interessata al tuo settore, dovrebbe interrompere per alcuni minuti il fluire della sua giornata per guardare proprio il tuo video aziendale
  • pensa quindi a cosa colpisce te come utente, cosa ti si imprime nella memoria, cosa ricordi alla fine della giornata o cosa ti ritorna in mente a distanza di settimane
  • poi guarda quello che fa la concorrenza, i video che produce e domandati come puoi distinguerti da tutti loro per fare breccia nella coscienza degli utenti ed essere ricordato

Non servono effetti speciali, il costo del video rimane lo stesso. Quello che deve cambiare è il contenuto, lo storyboard, chiamalo come preferisci, hai capito, ne sono certo.

Faccio un esempio restando sempre nel mondo del vino.

Sei una piccola cantina che produce un vino molto noto in una zona vitivinicola rinomata? Ottimo, sei assolutamente libero di immaginare e riprendere il tuo vino in un contesto differente dal solito, o di mostrare la tua azienda attraverso le persone che ci lavorano.

Non raccontare la tua cantina come fanno tutti. Prova piuttosto a fare l’esatto contrario. Parla delle persone che apprezzano il tuo prodotto o potrebbero apprezzarlo, non parlarti addosso come fanno gli altri e immagina un racconto video da declinare in base a questo tipo di contenuto.

E ricordati della mucca viola di Seth Godin. Se vuoi essere notato devi proporre qualcosa che si faccia inequivocabilmente notare.

Lettura consigliata: https://www.amazon.it/mucca-viola-notare-fortuna-marrone/dp/8820058537/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1465312660&sr=8-1&keywords=la+mucca+viola

Sull’uso del buon senso (digitale)

buon-senso

Tempo fa mi capitò di interrogarmi sul concetto di “buon senso” legato all’oggetto della mia professione e, in generale, all’ambito del Digital Marketing.

Fui anche tentato di utilizzare questo argomento (in seguito chiarirò meglio cosa intendo per buon senso digitale) direttamente con il cliente. Ma, forse per timidezza forse per timore, alla fine scelsi di utilizzare altri percorsi di discussione e di confronto.

Il timore nasceva soprattutto dal dubbio che avevo di offendere in qualche modo il mio cliente dicendogli che,

nella maggior parte delle proprie azioni o comunicazioni digitali, avrebbe semplicemente dovuto attenersi al buon senso.

Non è mia intenzione semplificare eccessivamente un concetto piuttosto articolato, ma una volta che avevo condiviso con il cliente gli obiettivi, la strategia, i canali, la pianificazione, il budget, i KPI, la linea editoriale, le campagne, etc etc,

il “buon senso” mi sembrava essere il principio base al quale appellarsi prima di muovere un passo in qualsiasi direzione o ambiente si fosse deciso di andare.

Facciamo un passo indietro.

La rete è piena di esempi e di casi, più o meno noti, di cattiva comunicazione.

Corporate Blog, pagine Facebook aziendali, commenti in portali ospitanti recensioni (come ad esempio Tripadvisor), sono gli ambienti dove si fanno i danni maggiori. Una risposta scortese a una critica, una reazione affrettata a un commento, un tweet scorretto o offensivo, sono sufficienti a rovinare in un attimo una reputazione costruita in anni di duro lavoro.

E la cosa non tocca solo le piccole realtà ma anche i professionisti o i grandi brand. Ti dirò di più,

più sei grande, più persone raggiungi con la tua comunicazione, più rumore farà la tua caduta.

Ecco perché dovresti ricordarti che quando posti, scrivi, rispondi in rete, non ti stai rivolgendo unicamente al singolo individuo, bensì all’intero tuo target, nella sua varia e differenziata composizione. E la domanda che dovresti porti è una e sempre la stessa:

Ciò che sto per scrivere potrebbe danneggiare, offendere o indisporre il mio pubblico o parte di esso?

Ecco perché dovrebbe essere fondamentale una sorta di educazione al buon senso. Perché spesso ci troviamo di fronte alla amara evidenza che ciò che appare scontato non lo è affatto, e i cocci da raccogliere sono molti di più di quanto non ci saremmo aspettati.

Il buon senso digitale è quella cosa che ti semplifica la vita, che protegge le tue azioni, che ti salva dalle cadute di stile, che accompagna il tuo percorso digitale.

Non solo, sia ben chiaro, nei casi di confronto con il tuo pubblico, o nelle cosiddette Digital PR, ma in qualsiasi ambito comunicativo ti trovi ad operare. Per fare solo alcuni esempi:

  • se hai un budget di 100 euro per una campagna è il buon senso a farti comprendere che il tuo target geografico non potrà mai essere worldwide.
  • se devi partecipare a una importante fiera di settore, è il buon senso che ti suggerisce di prepararti alla raccolta di email e nominativi per poterli ricontattare in seguito.
  • se invii una newsletter è il buon senso che ti dice che dovresti trovare il tempo di consultare le statistiche di rendimento per migliorare il tuo messaggio nei prossimi invii.
  • se sei in Facebook è il buon senso che ti spinge a presidiare il canale e fornire risposte coerenti ed esaustive alla tua audience.

E così via…

Certo non è con il solo buon senso che si raggiungono gli obiettivi, ma nessun obiettivo può essere raggiunto e mantenuto senza l’uso del buon senso.