Marco Andreani

Digital Strategist

Marco Andreani

Digital Strategist

Archive for 17:53

Come fare soldi, la besciamella, la pizza e il pane

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Click Baiting? Sì, ma a fin di bene.

Il Click Baiting rappresenta la pratica di scrivere titoli furbi, ammiccanti, sensazionali, il cui obiettivo è quello di  incuriosire l’utente e attirare click senza che dall’altra parte vi sia un contenuto di qualità.

Scrivere titoli sensazionali, curiosi, smaccatamente mendaci, allo scopo unico di attirare click, è esattamente come presentarsi a uno Speed Date con tonnellate di deodorante per nascondere il fatto che non ti fai un bagno da giorni.

Magari un appuntamento lo ottieni pure, ma quando la cosa si fa interessante, quando lei ti atterra finalmente addosso, ecco che scappa a gambe levate (frequenza di rimbalzo del 100%).

La domanda è:

cosa si ottiene veramente fornendo un’informazione approssimativa, fasulla, sensazionalistica?

Da un lato numeri, dall’altro la frustrazione dell’utente, e il suo esodo verso altri e ben più trasparenti lidi.

Mala tempora currunt per i contenuti in rete. E questo lo sappiamo. Ma pratiche come queste rasentano il raggiro e la truffa,configurandosi come quanto di più basso esiste in rete, quasi peggio dei banner promozionali che compaiono mentre navigo e nessuno mi ha chiesto nulla…

Al di là del Click Bait, di cui si parla ormai da anni, quello che salta all’occhio è che la qualità della stragrande maggioranza dei contenuti in rete resta ancor oggi un optional.

Una qualità da scovare grazie al nostro spirito critico e alla curiosità e voglia di approfondire, che dobbiamo necessariamente attivare per rimanere esseri pensanti.

L’onestà paga? Forse no in effetti. Però lato reputazione direi proprio di sì.

Se quindi volete “rimanere” nella rete e farvi riconoscere come azienda o come singolo andate avanti a leggere, diversamente ho un paio di spacciatori di link e qualche Ghostwriter senza scrupoli da presentarvi… e buona fortuna.

Siete ancora qui? Bene, procediamo!

La parola chiave in questo campo è Pertinenza. Pertinenza tra titolo, introduzione o descrizione, contenuto, landing page, risorsa, e chi più ne ha… ma pertinenza a tutti i costi.

  • ciò che promuovete deve essere pertinente con ciò che potete offrite
  • ciò che descrivete deve essere pertinente con ciò che andate ad approfondire
  • ciò che l’utente trova deve essere pertinente con ciò che sta cercando
  • ciò che raccontate deve essere pertinente con la vostra realtà aziendale o con la vostra persona

Il titolo resta la cosa più importante, insieme all’immagine correlata, quando si tratta di attirare naturalmente un click su un post try here.

Il titolo deve essere ben ragionato e può anche essere sensazionale se sensazionale è anche il contenuto. Il titolo deve saper incuriosire l’utente, attirarne l’attenzione e anticipare qualcosa di quello che troverà una volta cliccata la risorsa, ma non deve essere ingannevole. Deve salvaguardare il concetto di pertinenza.

Siate pertinenti e non ve ne pentirete. Perché un lettore soddisfatto è un lettore che ritorna.

La terribile logica dei voti nel mondo digitale

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Quando iniziai, nel 2008, a scrivere post su enotecaletteraria.it davo i voti ai vini che degustavo.

Ero un semplice lettore, lo sono ancora, e un (neo al tempo) assaggiatore ONAV, e sono ancora anche questo, con qualche bottiglia in più sulle spalle.

Avreste fatto bene a flagellarmi.

Per fortuna compresi subito che non ero (e non sono nemmeno oggi) nessuno per poter dare un voto o un punteggio a un vino.

La logica dei voti è di per sé agghiacciante, anche quando applicata da persone davvero competenti in un settore,

figuriamoci da individui “qualunque”. Oggi vedo con rammarico che il cancro dei punteggi c’è ancora, e tende ad allargarsi, favorito dalle nuove possibilità di espressione donateci dalla rete (Alleluia!).

Leggo quotidianamente post di individui che danno voti a vini, ristoranti, alberghi, e chi più ne ha…

senza aver alcun titolo per farlo, al grido dell’inutile e imbarazzante opinione o gusto personali.

Quello che vorrei dire a queste persone, soprattutto se hanno il privilegio di possedere un minimo di seguito, in rete come altrove, è di avere maggiore responsabilità verso chi li legge, considerato soprattutto che

l’opinione senza conoscenza, sostanza o specializzazione è e rimane materia da bar.

La critica è morta? Non lo so, di certo non è mai stata particolarmente simpatica o vicina al grande pubblico. Detto questo la critica “istituzionale” non è vangelo ma nemmeno è da condannare a tutti i costi.

Dietro una critica c’è sempre un uomo, con i suoi gusti, la sua personalità. L’unico vantaggio per chi legge, e deve farlo a sua volta con spirito critico e curioso, è che il critico di mestiere possiede gli strumenti per decifrare, meglio di altri, la materia della propria osservazione.

Dovrebbe quindi essere più autorevole del proprio lettore, in quanto dedica la parte fondamentale della sua esistenza all’oggetto delle sue analisi.

Mica cotica! Poi compito del lettore masticare e sputare a dovere…

Ogni volta che mi trovo davanti a una recensione affrettata, a un voto, a un punteggio dato da appassionati senza arte né parte, iniziano a prudermi i polpastrelli.

Vorrei poter salvare il lettore da questo flagello, dall’immenso pericolo generato dal qualunquismo, dalla banalizzazione, dall’inadeguatezza di un giudizio che può arrivare a influenzare quando non dovrebbe assolutamente farlo.

Alimentare la piramide dell’ignoranza è peccato capitale, ricordatelo.

Poi mi viene in mente la sequenza di “quel film”, apro Youtube e sorrido. Ogni volta immagino di sostituire la parola “cinema” con “digitale”, ma questa è un’altra storia…

Chi compra digital compra tempo

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Ci rifletto spesso, soprattutto mentre batto alla tastiera per rispondere a e-mail, redarre strategie, gestire campagne, stendere meeting report, stilare progetti, etc etc…

Ci penso quando faccio conference call (come si dice adesso) di 2 ore con i clienti, quando spengo Skype e rifletto su quanto ho appena ascoltato. Ci penso quando sono in riunione.

Ci penso perché a volte mi rendo conto che sono arrivato a metà giornata e mi sembra di non aver fatto nulla di concreto.

Eppure il lavoro è indiscutibilmente andato avanti. Non sono stato con le mani in mano a pensare al prossimo acquisto su Amazon, al fatto che è davvero tanto tempo che non vado al cinema, a quella volta che, e invece…

Tutto questo è tempo. La cosa più difficile da percepire e da trasmettere, la più complessa da vendere.

Eppure il Digital è soprattutto tempo. Tempo per immaginare, per ascoltare e comprendere, tempo per stendere idee e progetti, tempo per attivare azioni e strumenti, tempo per monitorare, per analizzare, per ridefinire, per aggiornarsi… tempo.

Dobbiamo quindi essere più bravi a comunicare chiaramente il concetto di tempo ai nostri clienti.

Lo dobbiamo a noi stessi, per dare il giusto e corretto valore a quello che facciamo, e lo dobbiamo alle aziende alle quali offriamo i nostri servizi, per fare in modo che percepiscano al meglio quello che stanno acquistando.

Esiste però un altro tempo ancora.

Nel digitale improvvisi solo se sei già un brand affermato, non se ti trovi all’inizio di un percorso. E un percorso, sorretto necessariamente da un piano strategico e commerciale, necessità di tempo per avviarsi, strutturarsi, raccogliere i primi risultati, raggiungere gli obiettivi sperati.

Se non consideri il tempo hai già fallito.

E non sto parlando solo del tempo per pensare, fare, discutere, confrontarsi, ma anche del famigerato e temuto Time to Market, che decide le sorti di un qualsiasi progetto digitale, anche il più bello, il più figo, il più innovativo.

Se non arrivi al momento giusto con il prodotto giusto per il pubblico giusto, o hai sprecato il tuo tempo o devi sperare che il mercato decida di darti ragione un domani.

Le domande da porsi sono pertanto le seguenti price of tamiflu.

La prima se la devono porre i Digital / Web Strategist, Social Media Manager, Account, Project, etc etc.

Siamo in grado di trasmettere ai nostri clienti l’importanza e l’incidenza del nostro tempo nell’economia generale delle azioni e delle attività necessarie al raggiungimento degli obiettivi prefissati?

La seconda se la devono fare le aziende.

Consideri con la dovuta attenzione il fattore tempo? E soprattutto, sarai pronto quando si presenterà l’occasione?

“Per fare le cose, occorre tutto il tempo che occorre” – Aldo Moro

L’E-mail Marketing ha ancora senso?

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Pensateci bene.

L’E-mail Marketing è il brutto anatroccolo del Digital Marketing.

L’invio di newsletter si presenta come quell’oscura attività che sembra costantemente antiquata ma che, se fatta con i necessari crismi, riesce a portare risultati concreti.

Il dubbio che mi attaglia è sempre lo stesso, da anni:

siamo davvero capaci di fare E-mail Marketing? Lo facciamo nella maniera corretta o, un po’ come per la favola della volpe e l’uva, alla fine lo snobbiamo perché, non mettendoci il necessario impegno, non otteniamo i risultati sperati?

Siamo forse perennemente distratti dalle sfavillanti e frivole luci dei Social Network o dalle manifestazioni più “giovani e dinamiche” del Digital Marketing?

Partiamo dal presupposto che l’e-mail sopravviverà ancora per lungo tempo.

Una casella di posta elettronica è necessaria per svolgere innumerevoli attività in rete. Senza un indirizzo e-mail siamo tagliati fuori dalla maggior parte delle attività digitali, dall’apertura di account sociali alla gestione di un sito o di un blog, fino alla pubblica amministrazione, agli acquisti online… etc etc.

L’e-mail è ancor oggi il passepartout digitale per eccellenza, l’immancabile cifra dell’identità digitale di ognuno di noi.

Se siamo in rete disponiamo pertanto di, almeno, una casella e-mail. Forti di questa certezza, se siamo un’azienda o un libero professionista, possiamo decidere di fare E-mail Marketing in maniera consapevole.

Una newsletter può avere scopi informativi, scopi marketing, scopi smaccatamente commerciali e, tendenzialmente, dovrebbe veicolare un messaggio alla volta e coinvolgere il destinatario.

Ma questo non vuole essere un post sulle Best Practice dell’E-mail Marketing. Di tutorial, guide, “le 10 cose da fare…”, è piena la rete e, raccontando più o meno tutti le stesse cose (trattandosi, nella maggior parte dei casi, di copia incolla), direi che non sbagliano di molto. Potete fidarvi insomma.

Le domande che serve porsi sono ben altre, prima di arrivare al “come fare”, e direi che sono più o meno le seguenti:

  • raccolgo regolarmente gli indirizzi e-mail delle persone / aziende con le quali entro in contatto?
  • le salvo in un ambiente sicuro, meglio 2 allineati, magari uno fisico e un Cloud?
  • le organizzo in maniera sensata in gruppi utenti distinti (clienti, fornitori, partner, dipendenti, etc)?
  • aggiorno costantemente il mio database?
  • Excel è mio amico?
  • effettuo controlli periodici per avere la certezza che il mio database rimanga qualificato?
  • ho uno strumento professionale (anche gratuito) per l’invio delle mie campagne?
  • so cosa voglio comunicare a queste persone?
  • ho contenuti da comunicare?
  • sono in grado di definire al meglio contenuti differenziati in base ai miei diversi gruppi di utenti?
  • pianifico i miei invii?
  • controllo le statistiche di aperture, letture, click, conversioni, etc, per migliorare la mia strategia di E-mail Marketing?
  • mi sono tutelato dotandomi di una Policy per la gestione delle anagrafiche e per la raccolta dei consensi online e offline?

Chiunque possieda risposte positive per ciascuna di queste domante è pronto a fare E-mail Marketing in maniera consapevole, tutti gli altri ci pensino ancora un po’.

Facebook Live e tutti gli altri…

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Da poco è disponibile per tutti gli utenti Facebook (salvo rilasci progressivi della nuova funzionalità) la funzione che permette di trasmettere video in diretta dal proprio Smartphone.

In breve la logica di funzionamento del Live Streaming di Facebook:

  • è raggiungibile da applicazione mobile Facebook
  • è disponibile per Persone, Gruppi e Pagine (credo ormai anche per Eventi)
  • è gestito come un qualsiasi altro tipo di contenuto Facebook
  • si decide se rendere la diretta pubblica o limitata a gruppi di amici (come qualsiasi altro post di Facebook)
  • si preme la nuova icona per attivare la fotocamera, e siamo pronti a trasmettere
  • finito il Live Streaming (della durata massima di 90 minuti), il video rimane pubblicato sulla propria bacheca / pagina / gruppo, a meno di cancellarlo come un qualsiasi altro post di Facebook

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Facebook non ha inventato nulla di nuovo, su questo siamo tutti d’accordo.

Per il Live Streaming c’erano già, e ci sono, Youtube (leggi Google), Periscope (leggi Twitter), Meerkat (…), per citare le piattaforme più diffuse.

La differenza è che Facebook ha dato lo strumento (mostruosamente semplice nell’utilizzo) al suo miliardo e mezzo e oltre di utenti attivi al mese.

Youtube è utilizzato principalmente da smanettoni, e il suo Live Streaming (Hangouts) è ancora poco diffuso. Periscope rappresenta una nicchia derivata da Twitter. Facebook invece lo usano tutti.

Inserire il Live Streaming come un qualsiasi altro tipo di contenuto (post, immagine, geotag, emoticon, video pre-prodotto), lo rende una funzione perfettamente integrata nell’ambiente, assolutamente priva di necessità di spiegazioni, immediata.

E vogliamo parlare del pubblico? Se siamo da tempo in Facebook non dobbiamo crearcelo dal nulla, lo abbiamo a disposizione da subito, rappresentato dai nostri Amici, dagli iscritti ai nostri Gruppi, e dalle persone che hanno fatto Mi Piace alle nostre Pagine.

E mentre, solidale con il fu Umberto Eco, tremo per i miliardi di pollici opponibili pronti a immortalare momenti di dubbio, se non nullo, interesse,

per le aziende presenti in Facebook la nuova funzionalità risulta straordinariamente interessante.

Tutti gli iscritti a una pagina possono ora vedere le dirette del Brand e le aziende non devono far altro che applicare a questo tipo di contenuto le regole del buon senso digitale che applicherebbero a ogni altro contenuto in rete:

  • pianificare le azioni e integrare il Live Streaming all’interno della strategia digitale e del piano editoriale
  • usare lo streaming video con moderazione
  • dare un senso ai video live, prediligendo contenuti che si prestano naturalmente a una diretta (una fiera, un evento, le fasi di produzione di un prodotto, un nuovo lancio, etc), restando così ben lontano dal Live Streaming a tutti i costi

Ricordatevi che il contenuto resta il problema (ma lo era anche prima e lo è sempre stato). Lo strumento, nel suo scopo e nel suo utilizzo, è semplicemente perfetto.

Facebook Live si presenta quindi come lo strumento che sdogana definitivamente il Live Streaming al grande pubblico, trasformandoci in consapevoli e smaniosi Truman Show di noi stessi. Staremo a vedere…

Il Personal Branding è roba vecchia.

Qualche giorno fa mi è passato sott’occhio, in rete ovviamente, lo splendido dipinto Las Meninas di Velázquez, e d’impulso ho pensato:

guarda come lavorava bene sulla sua reputazione il buon Velázquez.

Qualche breve nota di contesto. Velázquez fu il pittore più importante alla corte di Re Filippo IV di Spagna, dove entrò nel 1624. Las Meninas è considerato il suo capolavoro, un grande dipinto a olio realizzato nel 1656.

La prospettiva e il gioco di sguardi con l’osservatore è piuttosto complesso. Per chi avesse voglia di approfondire l’argomento, riporto un link di alla fine di questo post.

In questo contesto vi basti sapere che il tizio che ci osserva, intento a dipingere sulla sinistra della composizione, è lo stesso Velázquez.

Le interpretazioni si sprecano e alcuni arrivano a sostenere che vi sia un’ulteriore firma del pittore nella forma a V creata dal braccio destro di José Nieto Velazquez (omonimo del pittore), maresciallo di palazzo che compare rappresentato nel vano della porta alle spalle della scena. Se non ricordo male il braccio del maresciallo rappresenta anche il punto di fuga prospettico del dipinto.

Dove voglio arrivare?

Ma ai giorni nostri ovviamente! Ricordando sempre che

solo molto raramente si riesce a inventare qualcosa di nuovo

e, per quanto mi riguarda, si tratta di un dato da tenere sempre ben presente.

Quello che faceva egregiamente e consapevolmente Velázquez a metà del ‘600 oggi si chiamerebbe Personal Branding

e Velázquez al tempo sarebbe stato una sorta di Influencer nel suo settore.
Il vantaggio per noi è che oggi, per fare Personal Branding, abbiamo molti più strumenti a disposizione, la rete in primis.

Allo scopo possiamo infatti munirci di un sito, di un blog, possiamo scegliere il canale social che più ci rappresenta e piantarvi i semi della nostra reputazione,

raccontando noi stessi sia dal punto di vista professionale sia da quello personale (con i dovuti limiti del caso).

Possiamo raggiungere un discreto numero di persone rimanendo comodamente seduti di fronte al nostro pc o inesorabilmente chini sui nostri smartphone.

Sempre nella consapevolezza che una reputazione non si costruisce in “quattro e quattr’otto” ma si tratta sempre di un obiettivo a lungo, a volte lunghissimo, termine.

E ora, per dare un senso pratico a questo post, qualche dritta per fare Personal Branding ai giorni nostri.

Consigli in pillole

  • scegliete i canali in funzione del vostro target e solo quelli che siete, presumibilmente, in grado di seguire
  • aprite un blog (che suona sempre più vecchio ma ancora funziona) solo se avete argomenti e possedete la costanza di seguirlo e aggiornarlo nel tempo
  • partecipate alle discussioni per un autentico spirito di condivisione e dialogo
  • date consigli gratuiti sul vostro settore
  • abbiate il coraggio di chiudere i canali che non potete mantenere o ridefinire le vostre strategie se cambiano gli scenari e i contesti
  • tenetevi sempre un collettore unico (il vostro blog ad esempio) per i contenuti di maggior pregio e rilevanza; qualcosa di vostra proprietà e che non sia un servizio esterno che “oggi c’è, domani chissà”
  • imparate a guardare lontano, nel brevissimo e breve periodo nulla esiste di consolidato
  • studiate e tenetevi aggiornati, l’influencer è quello sempre un passo avanti, se non in reale competenza almeno in formazione
  • imparate dagli altri e criticate con cognizione di causa; sparare a zero serve solo a rendervi odiosi, e ricordate che arrogante non fa figo e che esprimere le proprie idee con convinzione non significa urlare
  • abbiate cura dei vostri ambienti e aggiornateli anche dal punto di vista estetico (nulla è più triste di un Hello, word!)
  • rimanete focalizzati sul vostro pubblico, perché noto con rammarico che molti Influencer, nel tempo, tendono a dare sempre meno consigli utili agli utenti e sempre più parerti personali che non forniscono alcun vantaggio ma si posizionano al livello della chiacchiera, se non addirittura del pettegolezzo
  • impostatevi degli alert sulle news riguardanti il vostro settore per restare costantemente “sul pezzo”
  • verificate sempre le fonti, anche a costo di arrivare tardi su un aggiornamento importante
  • raccogliete indirizzi email, con tutti i crismi del caso legati alla Privacy e alla raccolta anagrafiche
  • pianificate e programmate la pubblicazione e la condivisione dei vostri contenuti e analizzate le statistiche di visualizzazione e lettura dei post

Cosa non fare (in nessun caso)

  • testate tutti i Social di questa terra ma non apriteli solo perché “dovete” o perché ci sono i vostri concorrenti o perché il mercato vi dice che questo mese va moltissimo Instagram o Snapchat
  • non spammate, si tratta di reputazione, non di martellamento
  • non siate gelosi, gli orticelli tendono a inaridire rapidamente
  • non cercate di apparire diversi da quello che siete e, se non lo siete naturalmente, state lontani dal crearvi un “Personaggio a tutti i costi”
  • non diventate antipatici, l’onnipotenza fa brutti scherzi
  • non siate approssimativi; molta visibilità significa molte richieste che però non devono significare risposte frettolose

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Per i puristi della storia dell’arte o dell’antropologia culturale ci tengo a precisare che Las Meninas è un esempio che conosco e che mi piace, ma non rappresenta certamente il primo caso di Personal Branding nella storia dell’uomo. Per quello non saprei davvero da dove cominciare…

PS: la presente lista di consigli e di cose da non fare in ottica di Personal Branding non vuole essere definitiva. Se a qualcuno viene in mente altro, suggerisca pure.

Link di approfondimento

http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/leparole/meninas.htm