Marco Andreani

Digital Strategist

Marco Andreani

Digital Strategist

Può esistere una Semiotica Digitale?

marco - 29/03/2016

semiotica

Quando il mio professore di Semiotica mi fece notare che, in Titanic, Francesco de Gregori non racconta lo scontro con l’iceberg e l’affondamento, ma nelle 3 strofe del brano inserisce la parola “ghiaccio”, compresi che ruolo potevano avere i segni in ambito comunicativo.

Ascoltavo quella canzone da quando avevo circa 13 anni, la strimpellavo alla chitarra quando ero alle prime armi con lo strumento, ma forse non l’avevo mai ascoltata davvero, o forse lo avevo fatto e, senza che me ne accorgessi consciamente, qualcosa di quel ghiaccio intuito, immaginato, “difficile da evitare”, era passato.

Da allora la semiotica mi ha incuriosito molto, tanto da studiarla applicata al linguaggio, alla letteratura, all’arte e (oh grande amore) al cinema.

Ora lavoro nel fantastico ed evanescente mondo del digitale, dove il codice si vende un tanto al chilo e la percezione comune del valore che puoi offrire a un cliente è la stessa che un gatto può avere dei colori.

In questa frontiera della comunicazione dove tutto sembra possibile e la terra appare rigogliosa e fertile fino a quando non arrivano le quotazioni, mi chiedo spesso che fine abbiano fatto i segni.

Una semiotica digitale è possibile? Ha un senso? Oppure esiste già e non siamo più abituati a chiamarla per nome?

Emoticon e Hashtag basterebbero a confermare il fatto che una semiotica digitale può esistere ed è più attuale che mai. Una semiotica del linguaggio (contenuti testuali), iconografica (fotografie, illustrazioni, icone, infografiche), audiovisiva (podcast, video), sempre più spesso multicanale.

In un panorama come questo, dove i linguaggi sono in costante evoluzione e i canali e gli strumenti mettono in campo logiche sempre nuove,

anche le aziende devono essere in grado di osservare con attenzione i segni che le circondano, comprenderli e farli loro.

Diversamente il codice non può essere condiviso e la comunicazione si interrompe.

I giovani di oggi sono i consumatori di domani, e mentre ci fermiamo a banalizzare e criticare i loro linguaggi e i loro ambienti, non facciamo altro che perdere l’opportunità di dialogare con loro

e passargli messaggi che siano in grado di recepire, codificare, comprendere e condividere.

Volete un esempio concreto per capire di cosa sto parlando? Ok, ce l’ho, si chiama Snapchat This Site.

Snapchat è un’applicazione che ad oggi conta oltre 100 milioni di utenti attivi. Devo proseguire?

L’applicazione è gratuita e potete scaricarla e provarla e se avete la mia età sono certo che la troverete inizialmente incomprensibile (oltre 100 milioni di utenti!), poi mediamente stupida e complessa al tempo stesso (oltre 100 milioni di utenti!) e dopo aver cercato di darle un senso per una mezza giornata massimo la eliminerete. OLTRE 100 MILIONI DI UTENTI!

Ora non voglio dire che ogni azienda dovrà necessariamente dotarsi di una strategia editoriale in Snapchat nei prossimi mesi.

Ciascuna azienda possiede la propria identità e l’occasione di scegliere i canali per lei più adatti e rappresentativi.

Quello che voglio dire è che è bene osservare come cambiano i codici e i segni e come questi concorrono a creare nuovi percorsi di significato.

Certo poi non è sufficiente conoscere i segni e i codici caratterizzanti un certo contesto. Il passo fondamentale è quello di comprenderli, farli proprie e utilizzarli nella maniera corretta, esattamente come

non basta un distintivo per fare un poliziotto o un collarino ecclesiastico per fare un prete.

Concludendo. Che siate in Facebook, in Twitter, su Youtube, che abbiate un blog o gestiate una community, sappiate che ognuno di questi canali ha i propri segni e i propri codici, e conoscerli e padroneggiarli è fondamentale per comunicare in maniera efficace con il vostro target.

Lettura consigliata:

http://www.ibs.it/code/9788845200496/eco-umberto/trattato-semiotica-generale.html

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