Marco Andreani

Digital Strategist

Marco Andreani

Digital Strategist

Digital Marketing

Facebook Live e tutti gli altri…

marco - 07/04/2016

facebook-live

Da poco è disponibile per tutti gli utenti Facebook (salvo rilasci progressivi della nuova funzionalità) la funzione che permette di trasmettere video in diretta dal proprio Smartphone.

In breve la logica di funzionamento del Live Streaming di Facebook:

  • è raggiungibile da applicazione mobile Facebook
  • è disponibile per Persone, Gruppi e Pagine (credo ormai anche per Eventi)
  • è gestito come un qualsiasi altro tipo di contenuto Facebook
  • si decide se rendere la diretta pubblica o limitata a gruppi di amici (come qualsiasi altro post di Facebook)
  • si preme la nuova icona per attivare la fotocamera, e siamo pronti a trasmettere
  • finito il Live Streaming (della durata massima di 90 minuti), il video rimane pubblicato sulla propria bacheca / pagina / gruppo, a meno di cancellarlo come un qualsiasi altro post di Facebook

facebook-live-video

Facebook non ha inventato nulla di nuovo, su questo siamo tutti d’accordo.

Per il Live Streaming c’erano già, e ci sono, Youtube (leggi Google), Periscope (leggi Twitter), Meerkat (…), per citare le piattaforme più diffuse.

La differenza è che Facebook ha dato lo strumento (mostruosamente semplice nell’utilizzo) al suo miliardo e mezzo e oltre di utenti attivi al mese.

Youtube è utilizzato principalmente da smanettoni, e il suo Live Streaming (Hangouts) è ancora poco diffuso. Periscope rappresenta una nicchia derivata da Twitter. Facebook invece lo usano tutti.

Inserire il Live Streaming come un qualsiasi altro tipo di contenuto (post, immagine, geotag, emoticon, video pre-prodotto), lo rende una funzione perfettamente integrata nell’ambiente, assolutamente priva di necessità di spiegazioni, immediata.

E vogliamo parlare del pubblico? Se siamo da tempo in Facebook non dobbiamo crearcelo dal nulla, lo abbiamo a disposizione da subito, rappresentato dai nostri Amici, dagli iscritti ai nostri Gruppi, e dalle persone che hanno fatto Mi Piace alle nostre Pagine.

E mentre, solidale con il fu Umberto Eco, tremo per i miliardi di pollici opponibili pronti a immortalare momenti di dubbio, se non nullo, interesse,

per le aziende presenti in Facebook la nuova funzionalità risulta straordinariamente interessante.

Tutti gli iscritti a una pagina possono ora vedere le dirette del Brand e le aziende non devono far altro che applicare a questo tipo di contenuto le regole del buon senso digitale che applicherebbero a ogni altro contenuto in rete:

  • pianificare le azioni e integrare il Live Streaming all’interno della strategia digitale e del piano editoriale
  • usare lo streaming video con moderazione
  • dare un senso ai video live, prediligendo contenuti che si prestano naturalmente a una diretta (una fiera, un evento, le fasi di produzione di un prodotto, un nuovo lancio, etc), restando così ben lontano dal Live Streaming a tutti i costi

Ricordatevi che il contenuto resta il problema (ma lo era anche prima e lo è sempre stato). Lo strumento, nel suo scopo e nel suo utilizzo, è semplicemente perfetto.

Facebook Live si presenta quindi come lo strumento che sdogana definitivamente il Live Streaming al grande pubblico, trasformandoci in consapevoli e smaniosi Truman Show di noi stessi. Staremo a vedere…

Il Personal Branding è roba vecchia.

marco - 04/04/2016

Qualche giorno fa mi è passato sott’occhio, in rete ovviamente, lo splendido dipinto Las Meninas di Velázquez, e d’impulso ho pensato:

guarda come lavorava bene sulla sua reputazione il buon Velázquez.

Qualche breve nota di contesto. Velázquez fu il pittore più importante alla corte di Re Filippo IV di Spagna, dove entrò nel 1624. Las Meninas è considerato il suo capolavoro, un grande dipinto a olio realizzato nel 1656.

La prospettiva e il gioco di sguardi con l’osservatore è piuttosto complesso. Per chi avesse voglia di approfondire l’argomento, riporto un link di alla fine di questo post.

In questo contesto vi basti sapere che il tizio che ci osserva, intento a dipingere sulla sinistra della composizione, è lo stesso Velázquez.

Le interpretazioni si sprecano e alcuni arrivano a sostenere che vi sia un’ulteriore firma del pittore nella forma a V creata dal braccio destro di José Nieto Velazquez (omonimo del pittore), maresciallo di palazzo che compare rappresentato nel vano della porta alle spalle della scena. Se non ricordo male il braccio del maresciallo rappresenta anche il punto di fuga prospettico del dipinto.

Dove voglio arrivare?

Ma ai giorni nostri ovviamente! Ricordando sempre che

solo molto raramente si riesce a inventare qualcosa di nuovo

e, per quanto mi riguarda, si tratta di un dato da tenere sempre ben presente.

Quello che faceva egregiamente e consapevolmente Velázquez a metà del ‘600 oggi si chiamerebbe Personal Branding

e Velázquez al tempo sarebbe stato una sorta di Influencer nel suo settore.
Il vantaggio per noi è che oggi, per fare Personal Branding, abbiamo molti più strumenti a disposizione, la rete in primis.

Allo scopo possiamo infatti munirci di un sito, di un blog, possiamo scegliere il canale social che più ci rappresenta e piantarvi i semi della nostra reputazione,

raccontando noi stessi sia dal punto di vista professionale sia da quello personale (con i dovuti limiti del caso).

Possiamo raggiungere un discreto numero di persone rimanendo comodamente seduti di fronte al nostro pc o inesorabilmente chini sui nostri smartphone.

Sempre nella consapevolezza che una reputazione non si costruisce in “quattro e quattr’otto” ma si tratta sempre di un obiettivo a lungo, a volte lunghissimo, termine.

E ora, per dare un senso pratico a questo post, qualche dritta per fare Personal Branding ai giorni nostri.

Consigli in pillole

  • scegliete i canali in funzione del vostro target e solo quelli che siete, presumibilmente, in grado di seguire
  • aprite un blog (che suona sempre più vecchio ma ancora funziona) solo se avete argomenti e possedete la costanza di seguirlo e aggiornarlo nel tempo
  • partecipate alle discussioni per un autentico spirito di condivisione e dialogo
  • date consigli gratuiti sul vostro settore
  • abbiate il coraggio di chiudere i canali che non potete mantenere o ridefinire le vostre strategie se cambiano gli scenari e i contesti
  • tenetevi sempre un collettore unico (il vostro blog ad esempio) per i contenuti di maggior pregio e rilevanza; qualcosa di vostra proprietà e che non sia un servizio esterno che “oggi c’è, domani chissà”
  • imparate a guardare lontano, nel brevissimo e breve periodo nulla esiste di consolidato
  • studiate e tenetevi aggiornati, l’influencer è quello sempre un passo avanti, se non in reale competenza almeno in formazione
  • imparate dagli altri e criticate con cognizione di causa; sparare a zero serve solo a rendervi odiosi, e ricordate che arrogante non fa figo e che esprimere le proprie idee con convinzione non significa urlare
  • abbiate cura dei vostri ambienti e aggiornateli anche dal punto di vista estetico (nulla è più triste di un Hello, word!)
  • rimanete focalizzati sul vostro pubblico, perché noto con rammarico che molti Influencer, nel tempo, tendono a dare sempre meno consigli utili agli utenti e sempre più parerti personali che non forniscono alcun vantaggio ma si posizionano al livello della chiacchiera, se non addirittura del pettegolezzo
  • impostatevi degli alert sulle news riguardanti il vostro settore per restare costantemente “sul pezzo”
  • verificate sempre le fonti, anche a costo di arrivare tardi su un aggiornamento importante
  • raccogliete indirizzi email, con tutti i crismi del caso legati alla Privacy e alla raccolta anagrafiche
  • pianificate e programmate la pubblicazione e la condivisione dei vostri contenuti e analizzate le statistiche di visualizzazione e lettura dei post

Cosa non fare (in nessun caso)

  • testate tutti i Social di questa terra ma non apriteli solo perché “dovete” o perché ci sono i vostri concorrenti o perché il mercato vi dice che questo mese va moltissimo Instagram o Snapchat
  • non spammate, si tratta di reputazione, non di martellamento
  • non siate gelosi, gli orticelli tendono a inaridire rapidamente
  • non cercate di apparire diversi da quello che siete e, se non lo siete naturalmente, state lontani dal crearvi un “Personaggio a tutti i costi”
  • non diventate antipatici, l’onnipotenza fa brutti scherzi
  • non siate approssimativi; molta visibilità significa molte richieste che però non devono significare risposte frettolose

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Per i puristi della storia dell’arte o dell’antropologia culturale ci tengo a precisare che Las Meninas è un esempio che conosco e che mi piace, ma non rappresenta certamente il primo caso di Personal Branding nella storia dell’uomo. Per quello non saprei davvero da dove cominciare…

PS: la presente lista di consigli e di cose da non fare in ottica di Personal Branding non vuole essere definitiva. Se a qualcuno viene in mente altro, suggerisca pure.

Link di approfondimento

http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/leparole/meninas.htm

Può esistere una Semiotica Digitale?

marco - 29/03/2016

semiotica

Quando il mio professore di Semiotica mi fece notare che, in Titanic, Francesco de Gregori non racconta lo scontro con l’iceberg e l’affondamento, ma nelle 3 strofe del brano inserisce la parola “ghiaccio”, compresi che ruolo potevano avere i segni in ambito comunicativo.

Ascoltavo quella canzone da quando avevo circa 13 anni, la strimpellavo alla chitarra quando ero alle prime armi con lo strumento, ma forse non l’avevo mai ascoltata davvero, o forse lo avevo fatto e, senza che me ne accorgessi consciamente, qualcosa di quel ghiaccio intuito, immaginato, “difficile da evitare”, era passato.

Da allora la semiotica mi ha incuriosito molto, tanto da studiarla applicata al linguaggio, alla letteratura, all’arte e (oh grande amore) al cinema.

Ora lavoro nel fantastico ed evanescente mondo del digitale, dove il codice si vende un tanto al chilo e la percezione comune del valore che puoi offrire a un cliente è la stessa che un gatto può avere dei colori.

In questa frontiera della comunicazione dove tutto sembra possibile e la terra appare rigogliosa e fertile fino a quando non arrivano le quotazioni, mi chiedo spesso che fine abbiano fatto i segni.

Una semiotica digitale è possibile? Ha un senso? Oppure esiste già e non siamo più abituati a chiamarla per nome?

Emoticon e Hashtag basterebbero a confermare il fatto che una semiotica digitale può esistere ed è più attuale che mai. Una semiotica del linguaggio (contenuti testuali), iconografica (fotografie, illustrazioni, icone, infografiche), audiovisiva (podcast, video), sempre più spesso multicanale.

In un panorama come questo, dove i linguaggi sono in costante evoluzione e i canali e gli strumenti mettono in campo logiche sempre nuove,

anche le aziende devono essere in grado di osservare con attenzione i segni che le circondano, comprenderli e farli loro.

Diversamente il codice non può essere condiviso e la comunicazione si interrompe.

I giovani di oggi sono i consumatori di domani, e mentre ci fermiamo a banalizzare e criticare i loro linguaggi e i loro ambienti, non facciamo altro che perdere l’opportunità di dialogare con loro

e passargli messaggi che siano in grado di recepire, codificare, comprendere e condividere.

Volete un esempio concreto per capire di cosa sto parlando? Ok, ce l’ho, si chiama Snapchat This Site.

Snapchat è un’applicazione che ad oggi conta oltre 100 milioni di utenti attivi. Devo proseguire?

L’applicazione è gratuita e potete scaricarla e provarla e se avete la mia età sono certo che la troverete inizialmente incomprensibile (oltre 100 milioni di utenti!), poi mediamente stupida e complessa al tempo stesso (oltre 100 milioni di utenti!) e dopo aver cercato di darle un senso per una mezza giornata massimo la eliminerete. OLTRE 100 MILIONI DI UTENTI!

Ora non voglio dire che ogni azienda dovrà necessariamente dotarsi di una strategia editoriale in Snapchat nei prossimi mesi.

Ciascuna azienda possiede la propria identità e l’occasione di scegliere i canali per lei più adatti e rappresentativi.

Quello che voglio dire è che è bene osservare come cambiano i codici e i segni e come questi concorrono a creare nuovi percorsi di significato.

Certo poi non è sufficiente conoscere i segni e i codici caratterizzanti un certo contesto. Il passo fondamentale è quello di comprenderli, farli proprie e utilizzarli nella maniera corretta, esattamente come

non basta un distintivo per fare un poliziotto o un collarino ecclesiastico per fare un prete.

Concludendo. Che siate in Facebook, in Twitter, su Youtube, che abbiate un blog o gestiate una community, sappiate che ognuno di questi canali ha i propri segni e i propri codici, e conoscerli e padroneggiarli è fondamentale per comunicare in maniera efficace con il vostro target.

Lettura consigliata:

http://www.ibs.it/code/9788845200496/eco-umberto/trattato-semiotica-generale.html

C’era una volta lo Storytelling…

marco - 24/03/2016

storytelling

Uno dei termini che ho sentito più volte ripetere nell’ultimo anno in ambito Digital Marketing e Social Media Marketing è Storytelling.

Non ci sarebbe nulla di male, se non che l’ho visto troppo spesso usato come fosse una novità, una scoperta, il segreto per una buona strategia web e social.

La sensazione è la stessa di scoprire che rifaranno Rischiatutto, o di vedere che l’iPhone SE è un iPhone 5s evoluto.

La domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: Ma di cosa stiamo parlando?

L’uomo fa Storytelling (Narrazione in italiano) dalla notte dei tempi (potremmo tranquillamente scomodare le pitture rupestri e considerarle ottimi tutorial per la caccia). Lo fa per raccontare se stesso a qualcun altro e inevitabilmente ricorre, più o meno consapevolmente, a formule retoriche per emozionare, convincere, portare l’ascoltatore dalla sua parte tamiflu medicine.

Lo fa da sempre anche per vendere qualcosa. Mulino Bianco, Barilla, Lavazza, Campari, per citare alcuni brand nostrani, fanno Storytelling dagli albori, dalla Domenica del Corriere al Carosello, fino al deprimente Banderas che racconta i suoi nuovi biscotti alla gallina Rosita.

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Cosa è cambiato dunque? La risposta è… tutto e niente!

Sono cambiati alcuni linguaggi, certamente gli ambienti. Sono cambiati gli strumenti per fare Storytelling e sono cambiate le persone, ma

lo Storytelling è esattamente lo stesso, da sempre, con gli stessi medesimi scopi e la stessa efficacia, se progettato nella maniera corretta.

Chi fa Storytelling oggi? Ma tutti, ovvio! E lo hanno sempre fatto. Magari male, magari non pianificato, ragionato, progettato, misurato, magari inconsapevole, ma tutti raccontano storie. Certo non tutti lo sanno fare e qui sta il vero discriminante, l’elemento che può fare la differenza.

Anche una storia non narrata è una storia (pensate al finale di Casablanca o alla valigetta di Pulp Fiction), e anche una storia raccontata male è una storia.

La scelta non è quindi se fare o non fare Storytelling, ma se farlo o no in modo consapevole.

Ricordiamoci inoltre che anche la narrazione che si costruisce intorno a un Brand, un individuo, un prodotto o un servizio è soggetta alle medesime regole che si applicano a qualsiasi azione di marketing che si rispetti: obiettivi, budget, target, canali, pianificazione, misurazione, quella roba lì insomma.

Certo poi il consulente che arriva in azienda e inizia a snocciolare gli infiniti vantaggi di fare Storytelling digitale fa un certo effetto. Magari riesce anche a convincere l’imprenditore che quello è il futuro, la formula magica per la crescita del suo business e l’aumento del fatturato.

Ma, in questi termini, riduttivi e semplicistici, più che di una storia si tratta di una frottola.

L’importanza dell’empatia nel Digital Marketing

marco - 22/03/2016

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Partiamo dal significato (prometto che il resto del post sarà ancor più noioso di questa necessaria premessa):

La parola Empatia deriva dal greco “εμπαθεία” (empatéia) ed è composta da en-, “dentro” e pathos, “sofferenza o sentimento”. Sintetizzando al massimo un concetto oggetto di lunghe e profonde riflessioni filosofiche, e non solo,

l’empatia è la capacità di un individuo di mettersi nei panni di un altro individuo, soffrendo o (ci piace di più) sentendo quello che sente l’altro.

Ecco svelato il segreto del Digital Marketing, condensato nella capacità delle aziende, degli imprenditori o dei singoli professionisti di mettersi nei panni dell’altro, tenendo ben presente che l’altro non è un singolo individuo, bensì tanti individui che, nella loro globalità, costituiscono un determinato mercato o parte di esso.

Aggiungiamo un ulteriore elemento di complessità. Nel 1999, la prima delle 95 tesi del Cluetrain Manifesto, recitava:

I mercati sono conversazioni.

E i mercati sono fatti di esseri umani (proseguiva il manifesto), esseri umani che conversano per mezzo di strumenti, linguaggi, modi anche molto diversi tra di loro in relazione agli ambiti, ai contesti e agli andamenti dei singoli mercati.

Ora vi starete chiedendo il perché tutto questo.

Perché la differenza la fa proprio la capacità empatica delle aziende di mettersi “nei panni” del consumatore e non semplicemente “dalla sua parte”,

arrivando a soddisfare (i più bravi li creano dal nulla) bisogni e aspettative, e sviluppando parallelamente la capacità di rilanciare costantemente la propria offerta, creando valore e dialogando sullo stesso piano del proprio pubblico.

E se non è empatia questa…

Un errore molto comune da parte delle aziende è quello di mettersi di fronte al proprio target o, nel peggiore dei casi, al di sopra di esso, nella convinzione di sapere esattamente di cosa le persone hanno bisogno, cosa cercano, cosa può piacergli.

Un atteggiamento di questo tipo impedisce un reale apprendimento del mercato e preclude del tutto la capacità di un’azienda di anticipare i bisogni del proprio pubblico.

Ognuno di noi dovrebbe sempre essere in grado di fermarsi a riflettere su questo concetto, prima di intraprendere strade inutilmente impervie o senza uscita. Nella piena consapevolezza che energie, tempo e risorse vanno dosate e canalizzate nelle giuste direzioni.

Chi altri del vostro pubblico può dirvi cosa è giusto fare?

Un prodotto o servizio non deve piacere all’imprenditore, al manager o allo sviluppatore, ma a chi lo utilizzerà o ne usufruirà, e solo mettendovi nei panni delle persone, diventando voi stessi consumatori, potrete affrontare il mercato con il giusto spirito.

Ecco perché è fondamentale la fase di ascolto e di analisi, perché vi permette di capire dove sta andando la vostra platea e, di conseguenza, di farne parte.

E se proprio non siete empatici, almeno non siate timidi. Chiedete. Chiedete ai vostri clienti cosa ne pensano di quello che avete offerto loro. Chiedetegli cosa gli piacerebbe avere, osservateli con curiosità.

Oggi abbiamo la possibilità di intercettare i nostri utenti su molteplici canali, possiamo parlare con loro, fare customer satisfaction evoluta, proporre sondaggi, chiedere pareri.

L’empatia non si impara, ma di certo un buon allenamento all’ascolto e all’osservazione aumenta le possibilità di successo.

Letture consigliate:

http://www.amazon.it/Il-problema-dellempatia-Edith-Stein/dp/883824197X/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1458555954&sr=8-1&keywords=empatia+edith+stein

http://www.mestierediscrivere.com/articolo/Tesi

Essere originali è facile.

marco - 18/03/2016

originali

contenuto rivolto a professionisti e piccole / medie imprese

Un solo comandamento:

quando scrivete un testo, sia esso aziendale, di prodotto, di personal branding, etc, EVITATE I LUOGHI COMUNI.

Lo so, suona banale, ma se lo scopo è quello di presentare la vostra azienda, i vostri prodotti o la vostra professionalità in maniera originale e “differente” rispetto alla concorrenza, seguite IL comandamento e vi troverete ben oltre la famosa “metà dell’opera”.

Pensate alle aziende “eccellenti” che vi circondano, a tutte quelle che offrono “servizi a 360 gradi”, ai professionisti che hanno “maturato un’esperienza pluriennale” nel loro settore, ai team “giovani e dinamici”… e pensate a come potete dire le stesse cose in maniera diversa, allontanandovi dai luoghi comuni.

Partite dal concetto che volete esprimere e giocate con le parole, sperimentate sinonimi, immaginate nuovi percorsi sintattici singulair online.

Questo non significa rinunciare alla professionalità, a volte è sufficiente essere onesti. Raccontatevi o raccontate la vostra realtà come fareste con un amico. Poi, ove necessario, date un’accezione formale a quanto avete scritto.

Imparate dai concorrenti, soprattutto per non commettere gli stessi errori.

Non scrivete quello che scrivono i vostri concorrenti così come lo scrivono, è più semplice di quanto non sembri.

In ogni caso nessuno leggerà quello che scrivete, anche se…

Dura verità? Nessuno legge i testi aziendali, i “chi siamo” o i “mi presento” contenuti nella maggior parte dei siti web, dei blog, etc. C’è un però da non sottovalutare. Se qualcuno dovesse ancora coraggiosamente avventurarsi nella lettura di un sito web, blog, landing page, e trovasse qualcosa di differente, di nuovo, molto probabilmente si ricorderebbe di quella lettura.

Certo poi l’esperienza è esperienza, la tradizione è tradizione e l’innovazione è innovazione, e se non ci fossero altre possibilità se non quelle di chiamare le cose con il loro nome, quello che comunque potete aggiungere, per non dire il solito “tutto e niente”, è la spiegazione del vostro personale concetto di esperienza, tradizione o innovazione.

Non sarà forse rivoluzionario ma sarà certamente onesto e vi apparterrà più di qualsiasi altra frase preconfezionata.

Vi invito a fare alcune prove partendo da quanto avete già scritto. Se rileggere il vostro company profile, la vostra mission o il vostro CV digitale vi puzza di “già letto”, allora avete l’occasione di fare molto meglio.

Divertitevi, raccontatevi, non fate troppo caso alla SEO e… state attenti ai refusi.

Vuoi comunicare? Devi saper scrivere.

marco - 16/03/2016

scrivere

Leggo ogni giorno.

Notizie, aggiornamenti sui Social Network, post, articoli, messaggi privati, qualche pagina di un romanzo, una poesia se riesco.

Scrivo ogni giorno.

Email, messaggi privati, aggiornamenti sui Social Network, contenuti per qualche cliente, post se ho tempo.

Ogni giorno rileggo più volte quello che ho scritto prima di pubblicarlo, postarlo, inviarlo. Ok, sono molto più indulgente con i messaggi privati. Mi concedo l’abbreviazione, la sigla, il refuso da fretta. Non la k, quella in nessun caso.

Ogni giorno trovo errori in quello che leggo.

Piccoli, grandi, di ortografia, di grammatica, di sintassi, di consecutio temporume chi più ne ha più ne metta. La distribuzione di questi errori non è però casuale. Le principali testate giornalistiche si salvano nella maggior parte dei casi. L’errore è da scovare, anche se non impossibile da incontrare.

Quelli invece che sbagliano con una costanza e una perseveranza diaboliche, che non ce la fanno a scrivere 10 righe senza infilarci un refuso o un errore, sono proprio coloro che si presentano come professionisti della comunicazione digitale, consulenti web, blogger, freelance, creativi dal post facile e dal contenuto a tutti i costi, influencer. Vi supplico, cerchiamo di rimanere nei binari di un’influenza positiva.

Anche il miglior concetto possibile, se scritto male, può contribuire a diffondere un messaggio sbagliato.

Mi rivolgo a voi. Perché non rileggete quello che avete scritto prima di pubblicarlo? Perché non ripassate la grammatica, non chiedete a un depresso e deprimente amico bibliofilo una consulenza prima di far danni più o meno consapevoli?

Le parole sono importanti. Scritte, parlate, sussurrate, pensate. Se non sapete scrivere non potete comunicare e non fate altro che diffondere la scarsa conoscenza della lingua che già ci circonda.

Il mio è un consiglio e un appello al tempo stesso. Siate un esempio per chi vi segue… e leggete letteratura, tanta buona letteratura.

La conoscenza della lingua non è un optional, non è un accessorio, è imprescindibile, fondante.

E se proprio non ve ne frega niente, o pensate che scrivere bene non sia importante, fatelo almeno per i vostri clienti, per chi vi paga non solo per avere idee ma anche per saperle comunicare nella migliore maniera possibile.

Quanto hai speso risparmiando?

marco - 09/03/2016

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Le provocazioni contengono sempre una parte di verità.
Partendo da questo concetto ti chiedo:

Sei consapevole di quanto hai speso andando al risparmio con le tue azioni digitali?

Perché alla fine di questo stiamo parlando; di tutte le volte che hai scelto di affidare il sito web all’agenzia o al freelance più economici, ignorando tutti gli altri fattori che sono in grado di fare la differenza. Di tutte le volte che hai scelto un prodotto o un servizio digitale attratto dal low cost, e di tutte le volte che lo hai dovuto cambiare, smantellare, rifare da zero, perché alla fine valeva davvero quello che lo hai pagato.

E hai speso di più non solo in termini economici puri ma anche in termini di tempo

Tempo per rifare tutto, per ripensarci, per riprogettare, per gestire da zero il progetto digitale, per parlare con le persone, raccogliere i materiali, inviare le email, chiudere e aprire contratti, etc etc…

Il digital resta l’arena degli sciacalli da “devo acquisire il cliente a tutti i – bassi – costi”, degli amatori da “te lo faccio io che smanetto da qualche settimana con WordPress”, di tutti quelli che giocano sulla non conoscenza del settore per far sì che un sito web sia “solo” un sito web e una app sia “solo” una app. Che differenza fa se costa 10 o 100? Nessuna giusto?

La colpa non è certo solo delle aziende. Anche io ho acquistato delle memorabili ciofeche su Amazon attirato dai prezzi, nessuna di loro è durata molto.

E vogliamo parlare della parte di promozione? Parliamone perdinci!

Se vai a un matrimonio lancia una bella manciata di riso, con pochi chicchi rischi di non colpire gli sposi

Evviva le opportunità offerte dagli strumenti di promozione digitale: Google Adwords, Facebook e Linkedin Ads… che ci permettono di promuovere prodotti e servizi al nostro target con budget irrisori. SBAGLIATO! MOLTO SBAGLIATO!

Quando ci accorgeremo che il web e il digitale non sono gratis e non sono nemmeno economici (ma sono misurabili ricordiamolo), sarà sempre troppo tardi. Nel frattempo continuiamo a credere che basti poco. Poco budget, poco impegno, poche risorse per ottenere risultati straordinari.

Poi però ci accorgiamo che così non è. Abbiamo ancora una volta disperso il budget, non abbiamo raccolto nulla, ci siamo frustrati e abbiamo perso fiducia nei mezzi, negli ambienti, negli strumenti.

Vogliamo conquistare il mondo con due spiccioli ma non siamo altrettanto divertenti dell’Armata Brancaleone

Meglio andare avanti “alla vecchia” a questo punto. O no?

Ricordo ciò che mi disse anni fa un imprenditore del settore vitivinicolo, di cui non faccio il nome, riguardo alla strategia commerciale della propria azienda dopo che gli avevo elencato le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dai nuovi ambienti digitali. Mi disse: “Ma noi abbiamo sempre fatto così e abbiamo sempre venduto!” VERO, BRAVO, BENE! QUINDI?

Il tuo prodotto può non cambiare (ottimo). Il mercato però cambia (irrimediabilmente), il pubblico cambia (dall’enoteca all’e-commerce il passo è di meno di una generazione), il linguaggio cambia e gli ambienti cambiano. Tu però rimani lo stesso (dunque?).

Le regole del mercato sono come quelle dell’amore, se non cresci insieme a lui non andrete molto lontano

Puoi continuare a vendere il tuo vino in piazza ma non puoi permetterti di ignorare la rete. La rete che ci comprende tutti e che le nuove generazioni conoscono come un dato acquistito, come Netflix al posto dei VHS, l’euro al posto della lira.

Tutto ciò che è più lontano da noi in termini futuribili è più vicino a coloro che sono arrivati da poco o che arriveranno a breve

Conclusione necessaria a che tutto questo non si limiti a uno sfogo ma diventi spunto di riflessione

  • Valuta prima di acquistare. Cerca di capire come mai una cosa che sembra la stessa di un’altra, costa molto di più o molto di meno. Magari si tratta di una fregatura, magari è la vera soluzione che stavi cercando, quella che ti alleggerisce da qualche pensiero di troppo
  • Pensa al riso, all’Armata Brancaleone, a quello che preferisci ma cancella le illusioni da grandi risultati con una piccola spesa
  • Guardati intorno e osserva i tuoi figli e i loro amici, l’epoca della paghetta sta per finire, e anche loro stanno diventando consumatori. Con i loro Smartphone, con le incomprensibili logiche di Snapchat e con i visori per la realtà virtuale
  • Scegli l’amore duraturo al posto dell’innamoramento estivo. Se non cresci con il mercato non ti resteranno che alcune foto ricordo da dimenticare in un vecchio album, o in un Cloud, scegli tu

Google Adwords e il vero valore aggiunto della Consulenza

marco - 21/12/2015

Google Adwords

Mi occupo di Adwords ormai da parecchio tempo.

Questo non fa di me un esperto, gli esperti mi sono sempre piaciuti poco, sembrano essere “arrivati” da qualche parte e la cosa non può che spaventarmi.

Mi reputo una persona che possiede una certa dimestichezza nell’utilizzo dello strumento, cosa che mi permette di muovermi con agilità all’interno di una piattaforma che resta comunque in costante movimento e necessità pertanto di un aggiornamento continuo.

La domanda che mi pongo con maggiore frequenza mentre imposto e ottimizzo una campagna è la seguente:

Una volta che sai come muoverti, che conosci le opportunità della piattaforma e ne padroneggi le opzioni, una volta che sai quello che è meglio fare e quello che non deve essere fatto, dove sta il vero valore aggiunto che puoi offrire al tuo cliente?

La risposta può essere solo una; nella capacità di lettura, analisi e rielaborazione dei dati e nella conseguente Consulenza strategica evolutiva e/o correttiva che sei in grado di erogare.

Questo non è ovviamente un concetto semplice da far comprendere, soprattutto perché richiede tempo e le aziende ne hanno sempre meno, o almeno pensano di averne sempre meno.

Google Adwords offre infatti un risultato immediato solo a livello superficiale. Si paga e si ottengono click, visite, forse qualche conversione se abbiamo fatto le cose per bene, ma i frutti una vera strategia si raggiungono nel tempo, con l’ottimizzazione costante dentro e fuori dalla piattaforma.

Quando dico che l’ottimizzazione deve essere sviluppata anche al di là dei confini della piattaforma, intendo dire che la predisposizione della Call to Action, la condivisione del concetto di conversione, la progettazione (anche con differenti casi di test) della landing page, sono aspetti altrettanto importanti, se non più importanti, del lavoro all’interno di Google Adwords.

Ecco l’importanza della Consulenza, l’unico fattore in grado di fare la differenza e decretare il successo di un’azione di questo tipo.

Portare click e visite con Google Adwords è più facile di quanto si possa immaginare, farlo in maniera intelligente, mirata e consapevole è ben altra cosa.

Solo l’esperienza può aiutarci nell’affrontare al meglio la sfida offerta da questo tipo di mercato, un mercato che predilige solitamente il concetto di quantità (tanti click) a quello di qualità (buoni click).

Fatemi sapere se siete d’accordo.

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